Elisa D’Ospina: “Fare strada con la propria diversità è possibile”

Vicentina, classe 1983, Elisa D’Ospina è una delle modelle curvy più richieste a livello internazionale. Ma non solo. Elisa infatti lavora in tv a Detto Fatto (leggi l’intervista a Caterina Balivo), dove cura una rubrica “che parla a tutte le donne“, collabora con diverse testate online, è in prima linea nella battaglia contro i disturbi alimentari e ha scritto un libro, Una vita tutta curve, che racconta proprio la sua storia di “ragazzona“, come lei stessa si definisce, che con una fisicità al di fuori dei canoni imposti dal sistema moda è riuscita a fare strada nel mondo del fashion, dimostrando che l’assunto “magrezza uguale bellezza” non solo è pericoloso, ma anche falso. Una donna intelligente, caparbia, sensibile, in lotta contro le ‘etichette’ – “Le persone hanno l’esigenza di trovare un aggettivo per descrivere chi sei e che cosa fai” – impegnata in prima persona contro gli stereotipi e le false credenze della società dell’immagine per far passare il messaggio che “le donne sono sia magre, sia tonde, sia alte, sia basse…“. Dagli esordi come modella, al libro, alla petizione su Change.org per introdurre l’educazione alimentare nelle scuole, ecco che cosa Elisa ha raccontato a noi di Velvet Style.

Ciao Elisa! Tu oggi sei una richiestissima modella, collabori con testate online, fai la Curvy Coach a Detto Fatto, hai scritto un libro… Ma com’è iniziato tutto?
Stavo lavorando in una fiera e il rappresentante di un’agenzia di modelle mi ha chiesto se volevo fare l’indossatrice di taglie comode. Io subito ho risposto malissimo: “Fallo fare a tua madre“, ho detto, perché pensavo fosse discriminante, una presa in giro. Però poi questa persona mi ha fatto vedere un book di ragazze bellissime e allora ho pensato: “Se queste sono le taglie forti…” e ho deciso di provare.

Quanti anni avevi quando hai iniziato?
Ero già ‘grandina’, avevo 25 anni. Mi stavo per laureare e in realtà avevo scelto di seguire un altro tipo di percorso e di fare giornalismo.

Che cosa significa essere una top curvy?
Significa dover spiegare spesso e volentieri il lavoro che fai (ride, ndr), perché comunque hai una fisicità diversa dalle altre, e girare molto perché in Italia non ci sono tantissimi brand di taglie conformate. Per me è sempre stato un divertimento e forse questa è la chiave che mi ha permesso di considerare questa avventura uno splendido gioco e non il lavoro della vita.

Quindi un domani pensi di dedicarti ad altro?
In realtà io ho sempre fatto altro contemporaneamente: ho curato l’attività dell’agenzia di comunicazione che ho con mio marito, ho scritto… Non mi sono mai dedicata solo all’attività di modella.

C’è differenza nel mondo del fashion tra il settore del conformato e quello per così dire istituzionale?
A dire il vero sono simili. Molto spesso a noi modelle curvy capita di lavorare insieme alle nostre colleghe più magre. I calendari sono gli stessi.

Tu ti occupi da anni di campagne contro i disturbi alimentari: ci parli dei progetti che hai seguito e che stai seguendo?
Negli anni ho potuto fare diverse cose, ma la campagna più importante per me probabilmente è quella contro le ‘etichette’. Le persone hanno l’esigenza di trovare un aggettivo per descrivere chi sei e che cosa fai. Per esempio io sono una modella, scrivo, faccio attività di sensibilizzazione e tutto questo è guardato con sospetto: in Italia quando fai più cose insieme vuol dire che non ne sai fare nessuna o chissà che. Invece sono tutte attività complementari tra loro: io non sono mai stata solo una modella o solo una comunicatrice, ma entrambe le cose.

Com’è nata l’idea del libro Una vita tutta curve?
Avevo necessità di mettere insieme un po’ tutte le parole, perché nei social purtroppo si perdono e quindi va a finire che anche tu che lotti contro delle cose importanti non vieni considerata per quello che fai perché non hai le parole per dimostrarlo. Adesso ci sono e così chi mi deve ‘etichettare’ ora sa di potermi etichettare anche come “colei che si dedica al sociale” (sorride, ndr).

Puoi raccontarci a grandi linee di che cosa parla?
E’ la mia biografia. Racconta del mio essere una ‘ragazzona’, di come sono cresciuta, di quello che ho passato quando ero piccola e dello sviluppo che c’è stato grazie anche alla carriera di modella, insieme a tutte le attività che sto seguendo.

Con il tuo libro vuoi aiutare le donne ad accettare il proprio corpo: ma è possibile riuscirci in una società in cui l’apparenza è tutto?
Io sono l’esempio lampante che sì, è possibile: con la mia fisicità mi sono imposta in un sistema moda che comunque prevede ancora oggi delle ragazze molto molto più magre di me. Eppure sono finita anch’io su Vogue (ride, ndr) e hanno scritto e parlato di me proprio perché io non ero uguale alle altre. Quindi a maggior ragione si può andare avanti con la propria diversità, anziché uniformarsi e adeguarsi a un sistema che ci vuole tutte stereotipate. Se fossi stata uguale alle altre non so se avrei fatto questa carriera o comunque se avrei avuto questo percorso.

Però ci vanno una consapevolezza e una forza d’animo che non sono così frequenti, soprattutto tra le ragazze più giovani…
E infatti è per quello che ho deciso di scrivere Una vita tutta curve (sorride, ndr): per dare un trampolino a queste ragazze e far capire loro che si può prendere la rincorsa quasi da ferme…

Stilisti e pubblicitari perlopiù rigettano l’accusa di essere la causa del proliferare di comportamenti alimentari scorretti, eppure è innegabile che abbiano contribuito a creare il culto dell’immagine…
Sicuramente supportano una certa immagine mediatica. Se una ragazza pensa che magrezza è uguale a bellezza, questo sua convinzione è rafforzata da quello che vede e che trova sui giornali e in tv. E infatti anche nel libro parlo di tutti quei trucchi – da Photoshop, alle luci, al make up – che sono sì noti, ma non ancora abbastanza.

D’altro canto non mancano iniziative contro l’eccessiva magrezza delle modelle: schizofrenia o ipocrisia?
Io penso che qui in Italia dipenda dal fatto che siamo un popolo molto abitudinario: se per anni è andata di moda la ragazza magra, non è che in un attimo la formosa piace. Come per tutto ci vanno tempo e pazienza perché si possa verificare un cambiamento. A un certo punto le persone si metteranno l’anima in pace e capiranno che le donne sono sia magre, sia tonde, sia alte, sia basse… Per il momento ci preoccupiamo di far passare questo concetto a Detto Fatto: ultimamente lo ripeto spesso, ma siamo l’unica rubrica italiana a pensare a tutte le donne, a 360°.

Infatti qualche giorno fa su Facebook hai riportato l’osservazione dello stylist della nuova trasmissione di Belen Rodriguez, che si è rivolto a “una ragazza con una fisicità normalissima che avrà indossato la 42 dicendo: ‘Se uno ha la gamba forte è meglio coprirla’“…
Da lì capite la forma mentis che c’è in un settore come il nostro, dove se non sei così non puoi far niente, sei una fallita, devi dimagrire, devi, devi, devi, devi… E poi io che ho detto no a tutti questi “devi” ho fatto quello che ho fatto. Per carità, forse avrei potuto fare anche di più, ma per me che ho preso questa avventura come un gioco è già tanto quello che sono riuscita a fare.

Pensi che la scelta di Israele di varare una legge che impedisce di lavorare a modelle e modelli con indice di massa corporea inferiore a 18,5 sia una reale soluzione al problema?
Israele è l’unico stato che ha fatto qualcosa in questo senso. Nel resto del mondo, compresa l’Italia, non c’è nulla di simile. Se io fossi una stilista, per me sarebbe semplicemente una questione di buonsenso, senza avere bisogno di una legge che mi dice che non posso fare lavorare una ragazza perché soffre di anoressia. Se bisogna sempre farsi imporre tutto, allora sì, un provvedimento come quello preso da Israele può essere una soluzione. Però non è un passaggio obbligatorio, perché per esempio ci sono taglie 38 sane…

Più in generale credi che il sistema moda possa cambiare?
Secondo me a mancare è l’interesse. Tra vestire donne con una fisicità normale e donne magre, meglio vestire queste ultime: il modello cade meglio, la quantità di tessuto usata è minore e stilisti e sarti sono abituati, hanno già uno standard. E’ una questione di costi.

Ti sei fatta dei nemici nel mondo del fashion per le attività che porti avanti?
In alcune trasmissioni televisive ho avuto dei confronti molto accesi. Da Barbara D’Urso, per esempio, mi sono scontrata con la Camera della Moda, ma è normale. Loro sostengono un sistema che va avanti nello stesso modo da anni e arrivi tu che vuoi cambiare tutto…

E, al contrario, ti è capitato di ricevere appoggio, oltre naturalmente che da Vogue?
Adesso le colleghe magre ci vedono come il ‘loro futuro’, per esempio nella prospettiva di prendere qualche chilo dopo aver fatto un figlio… Noi non pestiamo i piedi a nessuno, non vogliamo imporre nulla: indubbiamente lanciamo un messaggio forte, cerchiamo di far sì che venga recepito. Poi è nell’interesse di tutti, perché le donne si devono vestire, anche noi, e quindi le aziende di abbigliamento vendono…

Tu sei impegnata in prima linea nelle scuole. Che cosa dici alle ragazze che incontri e che cosa ti dicono loro?
Per loro io sono una sorta di scossa. Vedono in me la sorella, la ragazza della porta accanto, una fisicità normale e quindi do una speranza, perché il tema dell’alimentazione è molto molto sentito. Indubbiamente poi ognuna ha le sue idee, però l’approccio con me è sempre positivo.

Gran parte dei disturbi alimentari si sviluppano negli anni e nell’ambiente della scuola: secondo te il personale docente, gli educatori, sono preparati per affrontare questo problema?
No, mancano l’approccio e il vocabolario giusto. Io ho lanciato una petizione su Change.org perché venga messa l’educazione alimentare nelle scuole: abbiamo raggiunto quasi 12 mila firma in 20 giorni. Quando parli ai ragazzi di fisicità è necessario utilizzare un linguaggio molto particolare: utilizzare termini come “cicciotella“, “grassottella” fa più danno che altro…

Progetti per il futuro?
Adesso sono impegnata dalla petizione e dal libro, che mi auguro venga letto e accolto bene, e per il futuro spero di rimanere legata alla scrittura, che è il mio mondo da moltissimi anni.

Ma continui a fare la Curvy Coach a Detto Fatto?
Sì, sì, con la speranza di una prossima edizione (ride, ndr). E’ una rubrica che parla a tutte le donne e a volerla fortemente è stata Caterina Balivo, mi piace sottolinearlo.

Foto by Facebook

Impostazioni privacy