Selvaggia Lucarelli: “Le imperfezioni sono ciò che fa la differenza e che piace”

C’è chi la trova molto simpatica e chi non la sopporta. Chi la ritiene una donna vera e chi pensa che sia solo un personaggio. Chi ne loda l’intelligenza brillante e chi invece non perde occasione per attaccarla. Selvaggia Lucarelli non lascia indifferenti e già solo per questo motivo dovrebbe essere chiara una cosa: Selvaggia Lucarelli non è omologata, è un’anomalia che mette in difficoltà coloro che si cullano nella beatitudine degli stereotipi. Come etichettare infatti una donna (per di più famosa) che non ha paura di essere se stessa, di mostrarsi con le proprie debolezze e imperfezioni e di dire quello che pensa, anche quando è disturbante? I disincantati a oltranza si trincerano dietro la convinzione che altro non sia che una posa, ma se si ha la fortuna di parlare con lei si capisce in fretta che non è così. Selvaggia Lucarelli è una persona normale – per quanto difficile sia definire il concetto di normalità – e soprattutto è una donna reale: simpatica ma naturalmente con le sue preferenze, forte ma con una fragilità che è cifra irrinunciabile di determinazione e coraggio, disponibile, ironica, brillante. Con idee precise e ponderate su molte cose, anche sulla moda, di cui ha parlato con noi in una piacevole chiacchierata a proposito di perfezione e imperfezione (che muove anche la storia del suo libro, Che ci importa del mondo), fashion blogger, donne curvy – “Io non amo questo termine, perché non vuole dire niente” – Scarlett Johansson, look da mamme lavoratrici, apparenza, realtà e molto altro…

Ciao Selvaggia, oggi tu sei uno dei personaggi più seguiti del web e la tua ironia graffiante non risparmia niente e nessuno, neppure il mondo del fashion, per cui ti chiediamo: che rapporto hai con la moda?
Il mio rapporto con la moda è stato di totale disinteresse fino a qualche anno fa e infatti andando a spulciare le mie foto su Internet escono delle mise improbabili, delle foto che pagherei per ritirare da Google Immagini (ride, ndr), che è una severa memoria storica anche dei nostri errori in fatto di stile, purtroppo. Negli ultimi anni faccio un po’ più attenzione, però non sono un’addicted, cioè non sono una fissata con la moda. Mi diverto a mescolare, anche tantissimi marchi low cost, e a creare un mio stile. E’ pure vero che ho un fisico che non mi permette di osare più di tanto, perché essendo ‘abbondante’ e avendo molto seno le mise più naïf ed estreme io non me le posso permettere, perché rischio il ridicolo, per cui devo andare tendenzialmente sul sobrio. Oppure, se voglio fare la ‘fatalona’, faccio la ‘fatalona’, ma non ho il fisico della modella.

Ma quindi la frase che si legge nella tua presentazione su Stanza Selvaggia, “Orientamento politico: Tacco 12“, è una provocazione?
No, per le scarpe ho una reale fissazione. Mentre per il resto non ho una particolare ossessione, le scarpe sono proprio una mia passione, tant’è che ho scelto la nuova casa perché aveva una stanza collegata alla camera da letto che poteva essere riservata solo alle scarpe, dal momento che è molto piccola. L’ho arredata con tutta una serie di mensole, per cui ci sono, non so, 250 paia di scarpe. Non compro necessariamente scarpe di grande marche, che costano una fortuna, però ho questa vera ossessione per il tacco 12 e tutte le scarpe possibili e immaginabili, anche se non amo le mezze misure: o rasoterra, purché non ballerine, o molto alte.

Qualche giorno fa La Perla è finita nell’occhio del ciclone per un manichino al quale si vedevano le costole, eppure un giorno sì e l’altro pure dal fashion system arrivano dichiarazioni contro l’assunto magrezza= bellezza: tu cosa pensi di questa apparente schizofrenia?
Il mondo della moda fa parlare molto bene gli uffici stampa, ma poi a mostrare le cose come stanno sono le sfilate. Nel senso: gli uffici stampa possono dire quello che vogliono, ma poi le modelle che salgono in passerella continuano a essere ragazze chiaramente sottopeso. La magrezza può anche essere un requisito a favore, da un punto di vista estetico: io non sono contro la magrezza, si può essere magre e in salute. Il problema è che le modelle che vedo in passerella sono sottopeso ed essere sottopeso non vuol dire essere in salute, così come d’altro canto non vuol dire essere in salute essere obesi. C’è una grande ipocrisia da parte degli stilisti, che continuano a rilasciare comunicati pieni di retorica buonista e dalla parte delle donne, ma poi fanno sfilare ragazze semi-anoressiche o comunque sospette anoressiche. Tanto più che ormai si sa che si scelgono le modelle di alcune zone dell’Est perché sono strutturalmente più esili: le donne degli anni ’80, come Cindy Crawford o Claudia Schiffer, non vanno più di moda. Non esistono più sulle passerelle. Oggi devono sembrare tutte malate.

Nonostante anni di emancipazione, noi donne siamo ancora ‘schiave’ di un’immagine di perfezione personale e fisica: tu quanto credi che influisca realmente il messaggio che passa dai media?
Il messaggio è fondamentale, nel senso che siamo bombardati da immagini di donne meravigliose e perfette, sia in televisione che altrove. Io credo, nel mio piccolo, di essermi coltivata l’affetto delle donne perché ho sempre detto chiaro e tondo e dimostrato che si può essere piacenti, piacevoli e anche – perché no – di successo (ride, ndr) pur mangiando serenamente e pur non entrando in una taglia 38. Credo che questo sia il messaggio da veicolare.

A completamento della domanda di prima, allora, quanto invece è colpa nostra, perché non sappiamo imporre un modello diverso? Inevitabile pensare a certe donne famose che fanno di tutto per essere – o almeno sembrare – perfette…
Moltissime donne che fanno spettacolo tirano fuori la solita storiella rassicurante, affermando di mangiare di tutto e di non essere mai a dieta, ma ne ho viste e frequentate tante che sono esposte e sovraesposte e posso garantire che il 90% pranza con un’insalata, cena con un’insalata. Donne che hanno abolito una serie di cibi e stanno lì tutto il giorno a preoccuparsi di quello che metteranno nel piatto. Per cui il modello è fondamentale.

Insomma, anche noi donne ci remiamo contro…
Ma sì ed è una follia, perché le piccole imperfezioni sono quelle che fanno la differenza, che piacciono, che creano il tipo. Oggi sono tutte uguali, omologate a un certo tipo di modello e di bellezza che le fa assomigliare tutte. Anche la fashion blogger: trovatemene una che sia sopra la taglia 38. Il modello è quello, sono tutte ragazze di 20 anni e a malapena arrivano a 50 kg. Eppure diventano l’idolo delle ragazzine, che trovano in loro ispirazione di stile ed estetica. Io non vedo fashion blogger belle e seguite sopra i 50 kg. Mi dispiace doverlo dire, ma è così.

La stereotipizzazione della bellezza femminile è un tema di cui abbiamo parlato anche con Elisa D’Ospina (leggi l’intervista), che si sta adoperando molto per diffondere una nuova consapevolezza in tal senso…
Penso che quello che fa Elisa sia assolutamente apprezzabile, però anche questa storia di quanto è bella la donna curvy è un po’ un’ipocrisia, perché nelle pubblicità molte volte sono spacciate per curvy modelle che non lo sono affatto. Anche nel cinema, spesso vedo articoli dove si parla del trionfo delle donne curvy e come esempio c’è Scarlett Johansson… Allora… Capiamoci… Scarlett Johansson è una donna formosa, ma è una donna magra: essere magre e avere le tette è una fortuna della vita (ride, ndr). Per cui non è quello il modello rassicurante, quella è una botta di culo micidiale, scusate l’eufemismo. Essere curvy è un’altra cosa. Io non amo questo termine, perché curvy non vuol dire niente. Meglio parlare di donne con qualche chilo in più, non donne formose, lo trovo più onesto. Elisa sta facendo un ottimo lavoro, però dovrebbe fare un po’ di chiarezza sull’argomento.

A proposito di imperfezione e del tuo essere imperfetta, la domanda a questo punto è naturale: quanto c’è di te e della tua vita in Che ci importa del mondo?
C’è moltissimo di me, nel senso che c’è moltissimo del mio carattere, della mia indole, della mia emotività e anche del mio modo di vivere i sentimenti, come l’amore, la maternità e l’amicizia, ma della mia vita intesa come cose che mi sono accadute non c’è tantissimo. In questo senso è molto di fantasia. Però il punto di partenza sono io: sono io come se mi accadessero le cose che accadono a Viola. Non ho mai avuto storie con sindaci, candidati sindaci… Con de Magistris neanche mezzo flirt, niente (ride, ndr).

Che cosa significa scrivere un romanzo: che cosa si prova e cosa comporta?
Innazitutto comporta imporsi molta disciplina e molto rigore. Un libro non si scrive nei ritagli di tempo, tra una corsetta al parco e una pappa al bambino, ma dandosi delle regole, molto ferree. Io per quattro mesi ho scritto dalle 6 alle 16 ore al giorno: su questo non transigevo, infatti non sono neanche più andata in televisione. Da un punto di vista emotivo dipende dal tipo di libro che si scrive. Nel mio caso sicuramente ha significato tirare fuori tante esperienze che ho vissuto, ma a livello emotivo, come dicevo prima, non a livello di vita reale. E quindi è stato psicologicamente molto liberatorio, a tratti molto doloroso e a tratti molto divertente. Io credo che chi legge il libro si diverta anche molto, oltre a soffrire un po’ per le vicissitudini di Viola. Però è essenzialmente un libro ironico.

Parlando di mamme lavoratrici, una domanda frivola: qual è il tuo look preferito?
Il mio look preferito per accompagnere mio figlio a scuola la mattina, come dico nel libro, è più o meno tenere un pezzo con cui ho dormito e associarlo a qualcosa di presentabile e poi tornare a casa e cambiarmi (ride, ndr). Nella mia vita di mamma non rinuncio al tacco, che indosso spesso anche la mattina presto, e poi mi piace tutto quello che è rosa cipria. Nell’armadio infatti ho tutto nero o di questo colore.

C’è qualcosa che invece non indosseresti mai?
Be’, le ballerine sicuramente. Se devo immaginare l’inferno, lo immagino come un luogo dove ho intorno a me solo ballerine (ride, ndr). Non sono un’amante del rosso e del fucsia. Ho anche una specie di idiosincrasia per il blu, perché è stata la mia divisa scolastica negli anni delle medie, dalle suore. Non riesco proprio a portarlo, è un colore che mi indispone. Poi ci sono cose che non è che non mi piacciono, ma che non porto perché non mi stanno bene, tipo i vestiti larghi, perché mi fanno sembrare incinta…

Un’ultima cosa prima di lasciarti: nel tuo futuro più tv, web o scrittura?
Sicuramente la scrittura. Il libro mi ha fatto capire che mi piace scrivere anche in questa forma, perché ho tentato un po’ tutti i registri, ma non mi ero mai avventurata nel romanzo ed è un’esperienza che rifarò. Il web è un punto fermo, al quale non rinuncerò mai, mentre la tv è un’incognita, perché questo libro è nato anche in virtù del fatto che ho abbandonato le presenze compulsive e le ospitate, che non servono a nulla. Tornerei in televisione solo per fare un programma mio, che mi somigli, ma non per sproloquiare di Grande Fratello o altro… Quello è un capitolo definitivamente chiuso della mia vita.

Foto by Spada – LaPresse

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