Da pochi giorni, le autorità hanno confermato l’implosione del sommergibile Titan. Re Carlo ha fatto i conti con un grande dolore.
Un’ossessione che ha causato la morte di cinque persone: il gruppo di appassionati ha tentato invano di raggiungere il relitto del Titanic – usufruendo di un sommergibile di piccole dimensioni – battezzato come Titan. L’obiettivo dunque era scendere in profondità, 3.800 metri sotto il livello del mare, in modo da poter vedere personalmente il colosso d’acciaio che ha conquistato la cultura popolare e cinematografica. Qualcosa tuttavia è andato storto, inevitabilmente.
Si tratta di calcoli errati e di un approccio scorretto alla navigazione. Paradossalmente, facciamo riferimento – come sottolineato dal regista James Cameron – alle medesime ragioni che condussero il Titanic sui fondali oceanici. Dopo giorni di ricerche disperate, le autorità navali hanno individuato dei relitti, precisamente a 5.600 metri dalla zona ove la nave da crociera sarebbe affondata. In seguito ad un’analisi approfondita delle dinamiche, gli esperti hanno concordato su una tragica teoria: il Titan sarebbe imploso, soffocato dall’eccessiva pressione dell’acqua.
Secondo Aileen Maria Marty, ex ufficiale di Marina e docente presso la Florida International University, le vittime non hanno avuto nemmeno il tempo di rendersi conto della morte imminente: “Un’implosione catastrofica ed incredibilmente rapida, si verifica in una frazione di millisecondo. […] prima che gli individui al suo interno potessero rendersi conto di un problema”.
Al dolore dei famigliari delle persone coinvolte, si aggiunge la sofferenza di Re Carlo III. Sembra infatti che – a bordo del sommergibile – si trovasse un conoscente particolarmente caro al sovrano britannico regnante. Negli ultimi giorni infatti, prima ancora della presa di coscienza della tragedia, il primogenito della Regina Elisabetta II aveva espresso tutta la sua preoccupazione in merito all’incolumità del gruppo di esploratori.
Re Carlo III devastato, la tragedia del Titan ha coinvolto un caro amico del sovrano
Non persistono più dubbi: le autorità hanno confermato l’implosione del Titan, con la conseguente scomparsa di cinque persone. In merito alle vittime della tragedia, il sovrano britannico ha espresso il suo più grande rammarico e dispiacere. A bordo del sommergibile infatti, si trovava anche Shahzada Dawood – brillante uomo d’affari di origini pakistane – vicepresidente dell’azienda di fertilizzanti Engro. Quest’ultimo inoltre aveva coinvolto il figlio 19enne nella missione, conducendolo inevitabilmente alla morte.
Re Carlo III conosceva molto bene l’imprenditore scomparso, in quanto sostenitore di due delle più importanti organizzazioni benefiche associate alla Corona: The Prince’s Trust International e The British Asian Trust. In seguito alla notizia della scomparsa del Titan infatti, fonti vicine al sovrano confermarono la sua completa attenzione alla vicenda. “Re Carlo sarà devastato nell’apprendere che Shahzada è scomparso” – le parole del portavoce reale – “seguirà da vicino gli sviluppi”.
Nonostante l’impegno delle autorità navali, ogni sforzo di recupero dei dispersi si è rivelato a posteriori vano. L’implosione del Titan non ha lasciato scampo ai passeggieri a bordo. Al momento, è ancora da chiarire come sia possibile che tale sommergibile sia stato considerato idoneo alla navigazione. I famigliari, profondamente addolorati e sconvolti, chiedono che venga fatta chiarezza sulla vicenda.
Shahzada Dawood, tra le vittime del Titan: il figlio era terrorizzato, non voleva partecipare alla missione
Shahzada Dawood ha perso la vita insieme a suo figlio Suleman, giovane 19enne coinvolto nella missione di esplorazione del Titanic. Riguardo la posizione del ragazzo, i famigliari hanno esposto delle opinioni discordanti. Mentre la sorella di Shahzada – zia di Suleman – ha sostenuto che quest’ultimo fosse terrorizzato all’idea di partecipare alla spedizione, la madre della vittima ha invece sostenuto che il figlio desiderasse con tutto il cuore accompagnare il padre nei fondali oceanici.
“Ho fatto un passo indietro e ho lasciato spazio a Suleman” – ha dichiarato Christine Dawood, che inizialmente aveva aderito insieme al marito all’iniziativa – “voleva veramente andare. […] Mi disse che voleva risolvere il cubo di rubik a 3.700 metri sotto il livello del mare”. Le sue dichiarazioni dunque smentiscono le parole della cognata, pronunciate poco dopo la conferma dell’implosione del Titan.
Azmeh Dawood infatti ha sottolineato: “Lui era terrorizzato, non voleva fare quella spedizione, ma ha acconsentito solo perché era importante per suo padre”. Ad ogni modo, qualunque fosse la reale intenzione del giovane diciannovenne, l’ossessione famigliare per il Titanic ha condotto padre e figlio al medesimo destino dei suoi passeggeri – scomparsi nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912.