A incendiare le polemiche delle Olimpiadi di Rio 2016 sono i giudizi sulle atlete dal punto di vista del loro aspetto fisico. Dal trio Sartori, Boari, Mandia a Rossella Fiamingo fino a Federica Pellegrini. Quanto conta il corpo?
La freccia infuocata scagliata sulle Olimpiadi di Rio 2016 (LEGGI ANCHE RIO 2016: TUTTE LE LIMITED EDITION FASHION) è arrivata, inaspettatamente, da QS, Il Resto del Carlino. La testata bolognese, in un eccesso di follia (o di leggerezza o di superficialità o di umorismo fuori luogo, a seconda dei punti di vista) ha titolato l’articolo sul quarto posto delle atlete del tiro con l’arco (Guendalina Sartori, Lucilla Boari, Claudia Mandia) con un grottesco “Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico”. Ad alimentare la polemica sessista ci ha pensato Libero Quotidiano, che ha definito Rossella Fiamingo “argento a Rio e oro in bikini: lato B disegnato col compasso”. Per par condicio, non è stato da meno Cosmopolitan che ha titolato un pezzo sui “pacchi” degli atleti “I migliori pacchi regalo alle Olimpiadi” (era questo il profetizzato postfemminismo? No, siamo molto lontani dagli intenti).
Dall’altra parte c’è Federica Pellegrini, la cui statuarietà (è alta 1.77) e l’attitudine la rendono un’icona di stile e trendsetter dentro e fuori la piscina. In che modo il corpo si lega alle discipline olimpiche e, in modo piuttosto preoccupante, crea le solite odiose caste estetiche da classificare con la crudele ironia dei social e dei titolisti da clic-baiting? Quanto (non) è legittimo il body-shaming in qualunque contesto e in questo in particolare? Ontologicamente, il corpo sta all’atleta come l’atleta sta alla disciplina. Come una modella, lo sportivo usa sé stesso (oltre a una certa concentrazione e allenamento mentali) per andare oltre i confini, superare le colonne d’Ercole e battere il limite. Ma proprio perché, nella grammatica olimpica, a contare è il verbo e non il soggetto (se non in funzione del verbo), non dovrebbe essere in discussione la persona ma il risultato. Non l’essere ma il fare. Non la forma ma la sostanza. Poi siamo nel 2016, anno in cui più che mai la forma è sostanza. E, forse, proprio da questo nasce tutto.
Dall’altra parte, come scrive qualcuno, “pensarlo e non dirlo è da ipocriti?”. Si profila uno dei soliti dilemmi inutili dell’estate (inutili perché la dichiarata e arrogante “sincerità” andrebbe sempre condita con una necessaria dose di ”educazione”). Una risposta sembra essere già arrivata dalla pesante ondata nazionalpopolare, che condanna la superficialità e premia le atlete del tiro con l’arco. Che non sono delle eroine, ma non per quello che mangiano bensì per il loro straordinario (sempre e comunque straordinario) quarto posto alle Olimpiadi.
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